Ormai non serve più ribadirlo: il tema della lotta all’inquinamento ambientale è a tutti gli effetti un topic politico. Se le intenzioni di tutti non possono che andare nella medesima direzione, ossia quella di un impatto legato alle emissioni sempre inferiore, dall’altro i modi e i proclami hanno testimoniato come la transizione ecologica possa essere declinata in differenti maniere. Nel nostro caso specifico, vale a dire quello legato alle auto elettriche, i forti incentivi governativi dell’ultimo periodo hanno dato una spinta all’introduzione nel mercato automobilistico di queste vetture. Il problema è che, a fronte di un beneficio effettivo in termini inquinanti, ci sono diversi elementi contrastanti se non addirittura barriere che ostacolano l’accesso e l’utilizzo delle auto elettriche. Se siete assidui frequentatori del nostro blog saprete già tutto.

Pertanto, oltre ai proclami dell’Unione Europea, che si è data come tappa intermedia il 2035 in vista del traguardo fissato per il 2050, il timore riguarda i modi in cui si raggiungerà la cosiddetta neutralità climatica. Va da sé che un comparto di auto elettriche sempre più diffuso renderà necessario uno stoccaggio maggiore di energia, ma se quest’ultima viene ricavata da combustibile fossile allora il problema viene solamente aggirato. Ecco perché oltre all’elettricità esiste una strada (per ora) parallela, vale a dire quella che conduce al sentiero dell’idrogeno verde. Può essere una reale alternativa per il futuro delle auto elettriche, oppure il rapporto costi/benefici sarà sfavorevole? Scopriamolo in questa guida.

Idrogeno verde: cos’è e processo chimico di derivazione

L’idrogeno è un elemento particolarmente diffuso nella materia, è trasparente e invisibile ed è tra le sostanze a maggiore densità energetica. Gli studiosi lo scompongono in tre sottocategorie cromatiche, per distinguerne gli usi: grigio (il più economico e ricavabile dagli idrocarburi), blu (ricavabile dagli idrocarburi ma con un sistema che filtra le emissioni nocive) e verde. Proprio quest’ultimo può essere la leva definitiva per la transizione ecologica interamente sostenibile.

A fronte di una disponibilità ai limiti dell’immenso l’idrogeno presenta la complessità di essere sempre in compagnia di altri elementi e per questo motivo si definisce come “vettore energetico” (e non “fonte”). Per estrarlo e slegarlo dagli altri atomi serve energia ed è altresì necessario trovare una collocazione per gli atomi stessi che, altrimenti, lasciati liberi produrrebbero inquinamento nel caso del carbonio sotto forma di anidride carbonica. Nel caso dell’idrogeno verde esso sarebbe ricavato esclusivamente dalle molecole di acqua tramite elettrolisi o idrolisi, azzerando i costi finanziari e quelli ambientali. Per ricavare idrogeno verde su larga scala è necessaria la costruzione di elettrolizzatori, i quali sfrutterebbero le fonti rinnovabili per ricavare l’energia sufficiente a innescare la reazione chimica di scissione, separando così l’idrogeno dalle altre componenti. Un po’ come le colonnine per le auto elettriche, i costi da sostenere inizialmente per la loro realizzazione sono impegnativi.

Ma in che modo funziona una cella elettrolitica? Secondo il classico funzionamento tramite elettrodi, quindi catodo e anodo, che dissociano le molecole di acqua in idrogeno e idrossido prima che la reazione chimica produca idrogeno gassoso e ossigeno. Un metodo semplice ed efficiente con un notevole squilibrio a favore dei benefici ambientali.

Idrogeno verde: le volontà politiche e le aree designate

Come detto l’Europa si è prefissa il 2050 come deadline simbolica per inaugurare il nuovo corso a zero emissioni. L’idrogeno potrebbe ritagliarsi un ruolo da protagonista in tal senso, creando intorno a sé un indotto significativo in termini occupazionali oltre che ambientali, ma per fare ciò serviranno consistenti investimenti (fino a 470 miliardi di euro che riguarderanno anche la ricerca e la costruzione di nuovi mercati). Il documento di Bruxelles firmato lo scorso 8 luglio 2020 prevede una strategia condivisa tra tutti i Paesi membri le cui proporzioni fanno intuire quanto l’UE voglia assumere una posizione dominante nella lotta alle emissioni inquinanti. La Germania è più avanti nel percorso, coadiuvata da Francia, Spagna e Olanda, mentre l’Italia scommette sul futuro. Notevole, infine, l’incremento di aziende che hanno aderito negli ultimi dodici mesi all’International Hydrogen Council, segnale che la volontà è comune e condivisa.

Ma l’Europa non è l’unica ad aver capito quanto sia importante l’approvvigionamento di energia nella transizione ecologica. Per tale ragione si sta disegnando una mappa geografica diversa, non più basata su gas e petrolio ma sulle fonti rinnovabili. E l’idrogeno è particolarmente ambito per tutti i fattori positivi di cui abbiamo precedentemente parlato. Il deserto nordafricano del Sahara sembra essere un’area appetibile e dopo il tentativo fallito del solare tocca all’idrogeno riprendere i legami interrotti dal timore di un vero e proprio “saccheggio energetico” di logica neocolonialista.  In virtù, inoltre, di una probabile crescita demografica dell’intero continente, le nazioni africane riusciranno finalmente a produrre energia in loco e a esportare quella in eccesso. Senza un rapporto costruttivo con le popolazioni locali sarà difficile pensare a un meccanismo vincente per tutto il globo. La questione è molto delicata per la sua centralità e sarà complicato pensare che gli interessi economici in gioco non influiscano in maniera prepotente sull’intero processo. Ci sono poi paesi che potrebbero riconvertirsi come l’Arabia Saudita (e in generale l’intero Golfo Persico) che non dovrebbe farsi molti scrupoli a mettere sul piatto alcuni miliardi, o l’Australia che può contare sulla massima capacità di energia solare.

Per quanto concerne le auto elettriche alimentato a idrogeno, non esiste un mercato italiano e non è detto che prenda piede rapidamente. Ci sono alcune Case che hanno deciso di puntare sull’idrogeno rispetto all’elettrico, come Toyota, o chi come Hyundai non si preclude alcuna strada. Attualmente ci sono solo due modelli disponibili (a costi folli) e un solo distributore in tutta Italia situato a Bolzano.