Nome: Giovanni Tria

Cosa fai in Daze: Digital Marketing Specialist

Da quando sei in Daze: Marzo 2022

Perché hai scelto di lavorare in Daze:

Dopo un anno di esperienza in un’agenzia di comunicazione ero stanco di occuparmi solamente della parte terminante di un lungo processo di strategia e comunicazione per conto di altre aziende. Volevo un’occasione per spaziare il più possibile ed essere incluso in decisioni strategiche di più ampio respiro. Daze mi ha offerto un’opportunità irripetibile di fare nuove esperienze partendo comunque da delle aree di competenza che già conoscevo (social media e digital advertising), oltre che di lavorare in un settore estremamente innovativo e in forte crescita.

Qualcosa su di te:

Sono nato e cresciuto nella provincia di Bari. A 18 anni mi sono trasferito a Bologna per studiare Lettere all’Università, con l’intento di intraprendere la carriera accademica. Ma in seguito al mio primo approccio con esso, il mondo della ricerca non si è rivelato quello che mi aspettavo.
Rimaneva in me la passione che mi aveva spinto in primo luogo a scegliere le lettere: la passione per le storie, raccontarle e ascoltarle, leggerle, guardarle.

Per questo ho deciso di trasferirmi nuovamente al termine della triennale, stavolta a Milano, per approcciare al mondo della comunicazione. Aver frequentato un corso di semiotica mi ha certamente aiutato a capire che la comunicazione non era poi così distante dal percorso che avevo intrapreso.

In fondo, si tratta pur sempre di storie da raccontare. O storytelling, se preferite.

Una tua passione:

Indubbiamente, il cinema. Spesso associato alla letteratura, credo fermamente che invece sia ben più affine alla musica e alle arti visive, piuttosto che alla scrittura. A innalzare davvero un film non è la storia, ma le scelte di regia, gli effetti sonori, il tono con cui gli attori pronunciano le parole, più che le parole stesse.

Il cinema – quando è ben fatto – è un continuo esercizio di cifratura e decifratura di simboli, un allenamento fantastico per chi vuole comunicare. Se è vero che per saper comunicare è fondamentale saper ascoltare, guardare con attenzione un film è per me la massima forma di ascolto.

A dirla tutta, dopo la pandemia ho faticato un po’ a riprendere l’abitudine di tornare in sala, così come per tante altre piccole cose che ho smesso di fare a causa del COVID. Poi è uscito Dune di Villeneuve. Avendo amato Blade Runner 2049 (dello stesso regista) e in generale da appassionato di fantascienza, non potevo perdermelo. Così senza pensarci due volte ho dato buca a un mio amico e mi sono fiondato a guardarlo nel primo cinema che ho trovato vicino casa.
Da quel momento si è riaccesa la scintilla, e sono finalmente tornato a guardare i film al cinema.

Il film più bello che hai visto dal tuo “ritorno in sala”:

Senza ombra di dubbio: È stata la mano di Dio, di Paolo Sorrentino.

Di Sorrentino in generale apprezzo quasi tutti i lavori precedenti, ma al contempo mi fa storcere il naso che con il corso degli anni alcuni suoi film siano diventati un po’ troppo astratti, carichi di un simbolismo eccessivamente intricato da poter sbrogliare. Probabilmente, la mancanza è solo mia, più che sua.
Però in questo suo ultimo film non ci ho visto l’ennesimo esercizio intellettuale quasi “fine a sé stesso”, se mi passate il termine.
Tutt’altro: chi l’ha visto lo sa bene, questo film è un incredibile inno d’amore verso la sua città, verso il cinema e verso la sua famiglia. In una parola, verso le sue radici. Durante la visione della prima metà del film mi sono letteralmente piegato in due dalle risate, per poi devastarmi emotivamente nel resto della pellicola. Ci ho visto qualcosa di tangibile, ovvero una tipologia di amore che è difficilissimo da spiegare a parole, ma che chiunque può provare se ripensa all’infanzia o si ferma a guardare la distesa sterminata del mar Mediterraneo che c’è in apertura del film.

Una scena che ti è rimasta impressa:

Con Sorrentino condivido le origini meridionali e, di conseguenza, moltissime suggestioni e tradizioni ben presenti nel film. Ho capito che È stata la mano di Dio parlava anche di me, delle mie radici nella scena in cui lo scoppio di una delle bottiglie di conserva genera un attimo di panico seguito da una risata fragorosa da parte di tutte le donne presenti nella cucina, intente a preparare la “salsa”.

Quella di preparare “la salsa”, ovvero la conserva di pomodori, è stata una tradizione costante della mia infanzia. E ricordo benissimo l’ansia che i miei parenti provavano quando si tirava fuori il gigantesco calderone, che veniva poi riempito d’acqua e posto sul fuoco per sterilizzare i boccacci pieni di salsa appena fatta. C’era la motivata apprensione che i più piccoli potessero farsi veramente male, correndo vicino al famigerato pentolone ribollente.

La stessa apprensione che si percepisce per qualche attimo nel film, quando per l’appunto una delle bottiglie messe a sterilizzare scoppia.
Sono quei dettagli che si possono percepire, ma soprattutto raccontare, solo avendoli vissuti in prima persona. In questa scena ogni barriera tra me e Sorrentino è caduta, l’intellettuale così distante e difficile da comprendere è diventato il bambino che ero e che correva nel giardino di mia zia, con mia nonna che si agitava e mi gridava di stare attento.

Daze ti aiuta in qualche modo a coltivare questa passione?

Diciamo che per andare al cinema, soprattutto in una città come Milano che ne è piena, è una passione che praticamente chiunque può coltivare a prescindere dal proprio lavoro. Di certo comunque apprezzo molto il fatto che in Daze, sia in smart che in ufficio, gli orari siano estremamente flessibili, perciò se ho voglia di andare a qualche spettacolo nel tardo pomeriggio posso organizzarmi in piena autonomia iniziando a lavorare – ad esempio – un’ora prima del solito, e poter essere già in sala alle 18.

Non ho ancora avuto la fortuna di trovare dei colleghi a Milano che condividano la stessa passione, spero che in futuro la cosa cambi!